martedì 22 dicembre 2015

Una fiaba

C’era una volta un ragazzo che viveva in una piccola casetta vicino al bosco. Egli conosceva bene il bosco, poiché fin da bambino vi si inoltrava per giocare.
Una volta però, preso dai pensieri, si spinse fino ad una zona dove non andava da molto tempo. Decise allora di continuare a camminare, per poter arrivare più avanti di dove era mai stato prima. Vide poi che era ora di tornare indietro e si fermò per un attimo a guardare quella parte del bosco che non conosceva. C'erano alberi, alcuni rovi e foglie per terra.
"Cosa spero di trovare di diverso?" pensò. "È una zona del bosco come un'altra", e fece per tornare indietro.
Invece a questo punto qualcosa di strano attrasse la sua attenzione.
Era una pianta che aveva un piccolo tronco massiccio ma curiosamente storto. Vide che una delle sporgenze assomigliava molto al muso di uno scoiattolo, ma la superficie era così strana che con un po' di fantasia ci si potevano vedere le più diverse figure. I rametti erano irregolari e piegati in varie direzioni. Il ragazzo si avvicinò, pensava magari di strapparne un ramo e farlo vedere a qualcuno, ma il legno, anche di un sottile rametto, era troppo duro. Si accorse a questo punto che le mani non si staccavano più dal legno, la pelle era fortemente appiccicata. Tirare era inutile. Tutti i tentativi per staccarsi erano inutili. Più passava il tempo e più le dita erano infossate nel legno. Il ragazzo cominciò a chiamare aiuto sperando che qualcuno potesse sentire.
Calò la notte.
Al chiarore della luna vide che le mani ormai erano totalmente inglobate dal legno, ed anche un piede che aveva posato su una radice era ricoperto da uno strato legnoso.
La mattina successiva metà del corpo del ragazzo era legnificata. Non sapeva più cosa fare, aveva paura, continuava ogni tanto a chiamare aiuto, ma il legno stava raggiungendo la bocca. La parte del corpo dentro al legno la sentiva come irrigidita anche nell'interno, gli sembrava che lui stesso stesse diventando di legno.
In quella giornata il legno ricoprì la testa. Il ragazzo pensava di non potere più respirare, oppure di morire quando il suo cervello fosse diventato di legno, era disperato. Invece la sera si rese conto che, ormai totalmente rigido e legnificato, poteva ugualmente vivere. In questa condizione il ragazzo non poteva più vedere, toccare, sentire niente.
Passarono i giorni. Pensava come potesse mai vivere in quelle condizioni, è come se l'albero entrasse in simbiosi con l'essere che cattura, evidentemente la sporgenza che aveva visto era davvero uno scoiattolo e l'albero sopravvive inglobando animali; pensava che razza di albero fosse mai quello, com'è possibile che non sia conosciuta una pianta così particolare, e che sfigato era stato proprio lui ad incontrarla. Isolato dal mondo non saprebbe dire quanto tempo passò così, settimane, mesi o anni. In fondo sperava ancora che qualcosa succedesse, che qualcuno lo potesse tirare fuori da lì.
Un giorno, improvvisamente, tutto cominciò a vibrare. Vibrava tutto, e ad un certo punto provò un dolore pazzesco ad una gamba, che da tanto tempo era stata insensibile, e poi lo stesso dolore all'altra gamba. Poi basta.
L'uomo con la sega elettrica in mano fece un commento sull'albero che aveva appena abbattuto: "guarda, sembra quasi che su quel tronco ci sia la sagoma di una persona!". Il suo collega rispose: "Tu hai troppa fantasia. Buttane giù un altro che poi andiamo a casa". I due uomini, che stavano disboscando per allargare la vicina discarica di rifiuti, non avevano toccato l'albero con la pelle nuda, ma solo con la sega elettrica. L'albero tagliato non aveva più la capacità di inglobare esseri viventi, così l'indomani, quando portarono il tronco in segheria, considerarono questo un buon legno massiccio. Tagliarono il tronco in numerose tavole e pezzi vari.
Al ragazzo sembrava un incubo: terribili vibrazioni e dolore lancinante quando venivano tagliati pezzi di braccia, gambe, schiena, collo. Anche scoiattoli, topi, uccelli intrappolati nel tronco soffrivano con lui. Alla fine, fra le altre cose, fu costruito un tavolo. Un pezzo che congiungeva la gamba del tavolo col ripiano corrispondeva proprio ad un pezzo di testa del ragazzo, contenente il cervello.
Il ragazzo (chiamiamolo ancora così) non sapeva spiegarsi più niente di quello che era successo, era terrorizzato. Altro tempo passò. Non poteva far altro che pensare, pensare.
E pensò che era inutile continuare a rammaricarsi per la propria situazione, poteva essere definitivamente così, valeva la pena almeno cercare di vivere senza più la nostalgia della vecchia vita. Piuttosto che niente, piuttosto che essere morto o soffrire come poco prima, poteva pensare, ricordare, immaginare, ragionare, calcolare, rimuginare, e rendersi la vita ancora interessante.
E cominciò ad usare il pensiero fine a se stesso, a tempo pieno. Dopo un po' cominciò a pensare cose che nessun altro avrebbe mai pensato. A nessuna persona, presa da una vita più o meno normale, sarebbe mai venuto in mente ciò che pensava il cervello nel tavolo; vedeva i concetti sotto un'altra ottica, ragionava e traeva conclusioni su argomenti che nemmeno lui avrebbe mai immaginato prima. Il tavolo intanto fece il suo corso presso una famiglia; la quale decise, ad un certo punto, di cambiarlo con un tavolo nuovo, e lo mise in cantina. Il cervello aveva capito cose che probabilmente sfuggono a tutti, aveva raggiunto una singolare saggezza, ma non poteva comunicarla a nessuno.
Ad un certo punto ebbe una grande intuizione, ora sì che era tutto chiaro... ma, improvvisamente, se la dimenticò. Provò a ricordarsela, si sforzò con tutta la mente. Riusciva a ricordarne vagamente alcuni aspetti, ma stranamente non riusciva più a mettere insieme i concetti. 
Il tavolo era ormai mezzo ammuffito e le tarme lo avevano aggredito, compreso il pezzo del cervello. Le tarme stavano facendo buchetti e cunicoli laddove il cervello del ragazzo stava pensando.
Lui non se ne rendeva nemmeno conto, ma stava facendo ragionamenti sempre più sconnessi, le idee vagavano senza ordine per poi smettere di avere alcun significato.
Non si può dire precisamente quando il cervello del ragazzo morì: gruppi di neuroni illesi continuarono ancora per molto tempo a scambiarsi copiosamente impulsi elettrici senza ormai nessun senso, così come le zampe di un insetto continuano a muoversi da sole anche quando questo è spiaccicato.

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